De origine et situ Germanorum

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Germania
Titolo originaleDe origine et situ Germanorum
Altri titoliLa Germania - L'origine e il sito dei Germani
Incipit del De situ, moribus et populis Germaniae nell'editio princeps
AutorePublio Cornelio Tacito
1ª ed. originale98 circa
Editio princepsVenezia, Vindelino da Spira, 1470 circa
Generesaggio
Sottogeneregeografia storica
Lingua originalelatino

De origine et situ Germanorum, comunemente conosciuta come Germania, è un'opera etnografica scritta da Publio Cornelio Tacito attorno al 98 d.C. sulle tribù germaniche che vivevano al di fuori dei confini romani. È l'unica opera a carattere etnografico su un popolo straniero pervenutaci dell'antichità.[1]

Il manoscritto più antico riguardante la Germania, ancor oggi conservato, è contenuto nel Codex Æsinas, "Codice Esinate". Si tratta di un manoscritto del IX secolo prodotto dall'Abbazia di Hersfeld, proveniente dalla biblioteca dei conti Baldeschi-Balleani di Jesi e oggi conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma[2].

Tradizione manoscritta[modifica | modifica wikitesto]

L'unico manoscritto sopravvissuto dell'opera, risalente al IX secolo, venne ritrovato nel 1425 nell'Abbazia di Hersfeld (da cui il nome di Codex Hersfeldensis), centro di studio monastico attivo fin dall'VIII secolo, poco a nord di Fulda, dal monaco Heinrich di Grebenstein (l'umanista Poggio Bracciolini, informato della notizia avvisò subito Niccolò Niccoli); il codice miscellaneo conteneva, unitamente al De origine et situ Germanorum, l'Agricola, il Dialogus de oratoribus e frammenti del De grammaticis et rhetoribus di Svetonio. Un'altra versione vuole che il manoscritto fu trovato dall'arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra, che fu in Germania al seguito dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo nel 1421.[3]

Il manoscritto, che aveva ricevuto vari interessamenti, da parte di Niccolò V e di Enea Silvio Piccolomini, futuro Pio II (all'epoca dell'interessamento ancora cardinale), fu probabilmente tradotto a Roma per iniziativa di Niccolò V e del suo segretario Poggio Bracciolini, i quali incaricarono Alberto Enoch di Ascoli di ricondurvelo nel 1455 a seguito di una missione in Germania.[4] Fu questi che smembrò il codice in tre apografi per rivenderlo e ricavarvi un guadagno più cospicuo (e stante anche il rifiuto della curia romana di acquisirlo).[3] Alla morte di Enoch, l'allora governatore delle Marche (e futuro arcivescovo di Milano) Stefano Nardini tentò di ottenerlo su incarico di Carlo de' Medici, ma senza riuscirci.[3] Lo stesso fece il cardinale Piccolomini, senza che la sua ricerca avesse successo.

Il codice di Hersfeld, che successivamente andò disperso e perduto, finì nelle mani di un altro umanista, Stefano Guarnieri di Osimo, il quale, dal momento che il manoscritto necessitava di interventi di restauro, operò delle integrazioni e delle ricopiature in minuscola umanistica, forse a partire da uno dei tre apografi frutto dello smembramento del Codex Hersfeldensis realizzato da Enoch.[4] Il manoscritto di Guarnieri (nel quale si trovò inserito un quaternione in scrittura carolina dell'Agricola, risalente all'antigrafo del secolo IX, ancora conservato)[5] fu ritrovato nel 1902 a Jesi (Codex Aesinas Latinus o codice Esinate-Hersfeldense)[6] nella biblioteca del conte Aurelio Baldeschi Guglielmi Balleani da Marco Vattasso, prefetto della Biblioteca apostolica vaticana, il quale lo fece pervenire allo studioso Cesare Annibaldi, tra i primi ad esaminarlo. Anche questo appariva un miscellaneo comprendente l'Ephemeris Belli Troiani di Ditti Cretese e le due opere tacitiane, l'Agricola e la Germania.

Nel 1938 il Codex Aesinas ricevette l'interessamento del governo tedesco (e di Himmler in particolare, capo delle SS), che però non riuscì ad ottenerlo dal conte Balleani. Lo stesso Benito Mussolini era intenzionato ad accontentare le richieste del governo tedesco, ma il clamore suscitato nel mondo intellettuale lo trattenne da tale volontà.[7] Solo nel 1944, durante l'occupazione nazista, i tedeschi furono vicini ad ottenerlo, perquisendo le residenze del conte nei pressi di Ancona, ad Osimo e a Jesi, ma senza riuscire ad entrarne in possesso. Il codice, sopravvissuto alla guerra, fu danneggiato durante l'alluvione di Firenze del 1966, ma subito dopo restaurato e recuperato, venendo poi donato dalla famiglia Balleani allo stato italiano. Oggi è custodito nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Cod. Vitt. Em. 1631).

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

La Germania Magna nel 98 d.C. al tempo dello scritto di Tacito, De origine et situ Germanorum.

La Germania è sostanzialmente l'unica opera latina a base prettamente etnografica giunta a noi (se si escludono altre opere con brevi excursus); inizia con la descrizione delle terre, delle leggi e dei costumi di questi popoli,[8] a cui seguono quelle delle singole tribù a partire da quelle confinanti con l'Impero romano fino a giungere a quelle ubicate sulle coste del mar Baltico. L'opera, che contiene tratti sia moraleggianti sia politici, ha probabilmente lo scopo di mettere in luce il pericolo rappresentato per Roma da questi popoli, soprattutto da quelli confinanti con l'Impero.[9]

L'opera è divisa in due parti: dal capitolo 1 al 27 viene presentata la Germania transrenania descrivendone il clima, il paesaggio, la struttura generale della società e raccontandone l'origine. Dal capitolo 28 al 46 c'è una rassegna più specifica delle singole popolazioni iniziando da ovest, procedendo a nord, sud e infine ad est descrivendo una popolazione nomade.

Tacito esalta il coraggio in battaglia, le virtù, l'alto valore dell'ospitalità e la stretta monogamia dei Germani, si dichiara d'accordo con la loro autoctonia, ammira la sanità morale, la semplicità e l'austerità dei costumi barbari mettendo in contrasto tutto ciò con l'immoralità dilagante e la decadenza dei costumi romani. Ciononostante, lo storico non risparmia aspre critiche alla pigrizia, all'ubriachezza e alla barbarie di questi popoli. Studiosi moderni hanno comunque messo in evidenza come molte delle affermazioni tacitiane non siano corrette, anche perché egli potrebbe aver scambiato per germani (cioè popoli parlanti lingue germaniche) tribù in realtà celtiche.[senza fonte]

Per descrivere i popoli germanici, Tacito si avvale del cosiddetto "determinismo geo-climatico", in base al quale esiste una stretta correlazione tra le caratteristiche fisiche e psicologiche di una popolazione ed il contesto ambientale in cui essa è stanziata, sia per il clima che per la morfologia del territorio. Secondo questo modello i popoli del nord, che vivono in zone con climi freddi e umidi, sono coraggiosi e valorosi, ma anche impulsivi ed irrazionali; mentre i popoli del sud, stanziati in luoghi con climi caldi e secchi, sono intelligenti ma vili. I Romani, invece, localizzati nella fascia temperata, mostrano un equilibrio ideale fra intelligenza e coraggio, e proprio per questa ragione sono riusciti ad espandersi ed imporre il loro dominio in diversi territori, creando così un impero sempre più vasto.[10]

Tacito non aveva mai visitato le terre e i popoli di cui parla e le sue informazioni sono tutte di seconda mano.[11] Lo storico Ronald Syme ha ipotizzato che Tacito potrebbe aver attinto a piene mani, quasi copiato, i perduti Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, dato che alcune delle sue informazioni erano ormai superate. Altre fonti di Tacito furono: il De bello Gallico di Gaio Giulio Cesare, la Geografia di Strabone, le Historiae di Sallustio, opere di autori come Diodoro Siculo, Posidonio, Aufidio Basso ed anche interviste a mercanti e soldati.[senza fonte]

Sebbene la Germania non possa essere considerata un'opera a sfondo politico, non deve essere sottovalutata l'ipotesi secondo la quale la scelta di basare l'opera sul popolo Germanico fosse legata alla presenza sul confine del Reno dell'Imperatore Traiano (sostanzialmente contemporanea al periodo di composizione).[12]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sono perdute infatti due opere etnografiche di Seneca, De situ et sacris Aegyptiorum e il De situ Indiae.
  2. ^ Sito ufficiale della Biblioteca Nazionale di Roma.
  3. ^ a b c Enoch d'Ascoli Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993).
  4. ^ a b Guarnieri Stefano Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003).
  5. ^ codex aesinas n.8 Archiviato il 20 agosto 2013 in Internet Archive..
  6. ^ Il codice sarà oggetto di studio da parte dello studioso Cesare Annibaldi, ma non fu questi a scoprirlo, bensì Marco Vattasso, prefetto della Biblioteca apostolica vaticana; Annibaldi riconobbe la mano del copista Guarnieri di Osimo nella ricopiatura dell'opera.
  7. ^ http://www.liceoclassicojesi.it/home/uh1x6pq0/domains/liceoclassicojesi.it/public_html/images/stories/aesinas_bini_lippi.pdf Archiviato il 7 maggio 2014 in Internet Archive..
  8. ^ Tacito, Germania, 1-27.
  9. ^ «Ma insistendo sull'indomita forza e sul valore guerriero dei germani, più che tesserne un elogio, Tacito ha forse inteso sottolineare la loro pericolosità per l'impero» Da: Gian Biagio Conte, Profilo storico della letteratura latina (dalle origini alla tardà eta imperiale), Firenze, Le Monnier Università, 2004, ISBN 88-00-86087-7.
  10. ^ Tacito in "Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco", su treccani.it. URL consultato il 5 giugno 2022.
  11. ^ Alfred Gudeman (1900), The Sources of the Germania of Tacitus, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association vol. 31, pagg. 93-111.
  12. ^ «Benché la Germania sia fondamentalmente un breve trattato etnografico-geografico e non un libello politico, se ne possono comunque riconnettere alcune caratteristiche a un evento pressoché contemporaneo alla composizione: la presenza di Traiano sul Reno con un forte esercito, determinato - pare - alla guerra e alla conquista» Da: Gian Biagio Conte, Profilo storico della letteratura latina (dalle origini alla tardà eta imperiale), Firenze, Le Monnier Università, 2004, ISBN 88-00-86087-7.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • J.G.C. Anderson (ed.), Germania, Oxford, Clarendon Press, 1938
  • T.A. Dorey, Agricola e Germania, in Tacitus (Londra, Routledge e Kegan Paul, 1969), Studies in Latin Literature series
  • Alfred Gudeman, The Sources of the Germania of Tacitus, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association, Vol. 31. (1900), pagg. 93-111
  • Christopher B. Krebs, Un libro molto pericoloso. La 'Germania' di Tacito dall'Impero romano al Terzo Reich, Ancona, Il Lavoro Editoriale, 2012, ISBN 978-88-766-3697-4.
  • Simon Schama, Landscape and Memory 2.I The hunt for Germania, 1995
  • (EN) Ronald Syme, Tacitus, vol. 1, Oxford, Clarendon Press, 1958.
  • (EN) Rodney Potter Robinson, The Germania of Tacitus, American Philological Association), Middletown, Connecticut, 1935. [analisi del testo e del manoscritto]
  • (EN) Kenneth C. Schellhase, Tacitus in Renaissance Political Thought, Chicago, 1976.

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