Cattedrale di Santo Stefano (Ancona)

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Cattedrale di Santo Stefano
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneMarche
LocalitàAncona
Coordinate43°36′50.54″N 13°30′59.22″E / 43.61404°N 13.51645°E43.61404; 13.51645
Religionecattolica di rito romano
Titolaresanto Stefano protomartire
DiocesiAncona
Demolizione1174

La cattedrale di Santo Stefano è stata la prima chiesa cattedrale della città di Ancona.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Lo storico Carisio Ciavarini, dal maggio 1876 Ispettore degli scavi e dei monumenti del Regio Commissariato per i Musei e Scavi di Antichità per l'Emilia e le Marche, riferisce la tradizione secondo la quale, durante il periodo in cui si cominciava a diffondere il Cristianesimo, circa verso il III secolo d.C., il culto cristiano venne introdotto in Ancona da un marinaio custode di una pietra raccolta dalla lapidazione del primo martire Santo Stefano, a cui fu dedicata una chiesa sull'omonimo colle, il Colle Santo Stefano, fuori dalle mura cittadine.[1]

Lo storico anconetano Vincenzo Pirani afferma che:

«la più antica notizia relativa alla presenza di una Comunità Cristiana in Ancona, che doveva avere una sua provata efficienza, è quella contenuta in un'omelia pronunciata da Sant'Agostino nella sua Cattedrale di Ippona (l'attuale Annaba - in italiano Bona - in Algeria - N.d.E.) e riportata nei suoi Sermones. Intorno alla Pasqua dell'anno 425, S. Agostino ha occasione di parlare al suo popolo su S. Stefano, spinto da un fatto miracoloso che avviene nella sua cattedrale. Un giovane pellegrino di Casarea di Cappadocia (l'attuale Kayseri in Turchia) arriva ad Ippona. Egli viene cosi da lontano perché compie un pellegrinaggio, visitando i Santuari più noti del suo tempo, al fine di ottenere la guarigione da un male misterioso, frutto di una maledizione materna. Ad Ippona riceve questa grazia e ne dà conto al Vescovo, compilando una relazione sui fatti che precedono e provocano l’infermità, sui Santuari visitati e come, finalmente, viene esaudito[2]....Il primogenito, egli dice, la grazia la meritò a Ravenna, nel Santuario del glorioso martire S. Lorenzo[3], mentre noi abbiamo continuato il nostro viaggio e tra i celeberrimi luoghi che abbiamo visitato siamo stati “anche in Ancona, città d'Italia dove per l'intercessione del gloriosissimo martire Stefano, il Signore opera molti miracoli"... Ecco, a proposito di Ancona, cosa dice S. Agostino: "...Memoria ejus (cioè di S. Stefano) antiqua ibi erat et ipsa est ibi..." (...la sua memoria in quel luogo era antica ed essa stessa era in quel luogo...) e spiega come la reliquia di S. Stefano fosse giunta in Ancona. Quando lapidavano Stefano, precisa il Vescovo (d'Ippona - N.d.E.), vi erano anche presenti persone che non parteciparono alla lapidazione; uno dei sassi che colpirono il Santo, rimbalzando, cadde davanti ad uno religiosus, un catecumeno probabilmente; questi lo prese e lo conservò ed essendo marinaio, quando toccò il porto di Ancona gli fu rivelato che colà doveva lasciarlo. Obbedì e da allora cominciò ad esservi la memoria, ossia il tempietto dove si conservava la reliquia di S. Stefano ed i miracoli incominciarono dopo che fu rinvenuto, a Gerusalemme, il sepolcro del Protomartire, cioè dieci anni prima (del sermone di S. Agostino - N.d.E.), nel 415. In dieci anni, la notorietà del santuario di S. Stefano in Ancona era arrivata in Cappadocia, cioè nella regione montuosa interna nell'attuale Anatolia (Turchia) e sulle coste algerine... Il sasso-reliquia rimase sicuramente nascosto sino all’editto costantiniano del 313, poi, in suo onore fu eretta la memoria, ossia un tempietto a pianta circolare o cruciforme, dove fu deposta con solennità[4][5]. Questa è la memoria di cui parla S. Agostino, e che definisce antica e che, ai suoi tempi, esisteva ancora, la stessa che aveva visitato Paolo da Cesarea con la sorella, e dove avevano implorato invano la loro guarigione. La certezza dell'esistenza di questa memoria o "martyrion", come è anche chiamata, è pari alla non conoscenza della sua ubicazione. Poteva essere stata eretta sia nell'ambito della città che nel suburbio e poteva anche essere stata parte di un complesso culturale.»

La collocazione di detta cattedrale viene indicata perlopiù dai testi storici sul colle Astagno di Ancona, nella parte orientale.[6]

Ancona, Porta Santo Stefano

Il Pirani contesta infatti la tradizionale collocazione della basilica, poi cattedrale di Santo Stefano, sul colle Astagno di Ancona:

«Il ritrovamento dei resti di una basilica paleocristiana nel 1810, quando venne formato il baluardo o Lunetta oggi ancora chiamato "di S. Stefano", suggerì a chi ne esaminò i resti, l'abate Antonio Leoni, di identificarli relativi ad una chiesa eretta in onore del Protomartire e spesso la si riconosce anche come luogo della memoria.»

«L'identificazione fu basata sulla testimonianza di papa San Gregorio Magno che, illustrando la vita di S. Costanzo, mansionario della chiesa di S. Stefano in Ancona, nel secolo V indicava la detta chiesa posta "juxta civitatem" (...fuori città...) e su quella del cronista Lazzaro Bernabei[7] che, nel suo scritto, informa la chiesa di S. Stefano essere stata eretta da Galla Placidia sul monte fuori della città, e dalla stessa destinata ad essere Cattedrale. Ma il Leoni dimenticò di confrontare queste notizie tra loro e con quanto aveva ritrovato: tale riflessione gli avrebbe consigliato maggior prudenza. Però quel ritrovamento fu il primo che individuò in Ancona un edificio paleocristiano, il secondo ritrovamento avvenne nel 1879[8], ed al Leoni non parve vero aver fatto tale scoperta. Il nuovo impianto militare ebbe così tale nome e da quello derivarono quelli che indicano una porta sulle mura che col1egano il baluardo alla fortezza e la via che ad essa conduce. Altro motivo che può spiegare l'affermazione del Leoni, era la presenza, lungo le pendici del colle Astagno, non lontano dal luogo ove è ancora il baluardo, di due chiesuole, erette verso la fine del secolo XVI dal vescovo Lucchi, in ricordo di quella demolita per la costruzione della fortezza sangallesca e dedicata allo Spirito Santo e di quella che riproponeva il titolo di S. Stefano, a memoria di quella che era attestata da S. Gregorio Magno e dai Cronisti. Ambedue le chiese sparirono durante l'assedio di Ancona del 1799, rese macerie dai combattimenti ivi avvenuti. Oggi non è più sostenibile tale identificazione... Non rimane indicazione e tradizione sull'ubicazione di questa basilica, ma si può circoscrivere una zona, sulla base di notizie che la danno ancora presente. Oltre a quanto detto da S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi[9], la ricorda una bolla vescovile del 1051 ed una di papa Urbano III del 1186 che, a sua volta, richiama quelle di Innocenzo II (1130-1142) e di Eugenio III (1145-1153)[10]. È quindi citata, e con la qualifica di insigne, tra le chiese di Ancona che soddisfano le decime imposte nel 1290 e 1300[11]. Finalmente, alla fine del secolo XV, il cronista Lazzaro Bernabei descrivendo l'assedio posto ad Ancona da Martino da Faenza nel 1412, precisa che l'accampamento di costui fu posto sul monte dove era la chiesa di S. Stefano: alla fine del Quattrocento, in Ancona si conosceva ancora bene il luogo ove era collocata, anche se sembrerebbe, dall'uso dell'imperfetto, che ormai fosse sparita[12]. La descrizione che Procopio da Cesarea[13] fa di Ancona al tempo della guerra gotica, nella prima metà del sec. VI, ce la fa vedere come un castello che ha la rocca sulla sommità dell'attuale colle Guasco, una cinta di mura che racchiudeva il borgo all'altezza dell'attuale piazza S. Francesco d'Assisi e molte abitazioni al di fuori delle mura[14]. L'ingresso era allora rappresentato dalla Porta Cipriana, ubicata tra le vie Fanti, dell'Ospizio e Birarelli; a questa porta arrivavano due strade, quella che è ora la già citata via Fanti e quella chiamata via del Faro, ultimo tratto di un percorso che correva nella zona alta delle colline che si susseguono, lato mare, dalla località Passetto, luogo ove la strada che proveniva da Numana si divideva in due tracciati, uno a mezza costa e l'altro sulle colline. L'ubicazione della basilica di S. Stefano dovrebbe quindi ricercarsi lungo gli ultimi tratti della via che passava per le colline, il che corrisponderebbe a quanto scrive papa Gregorio: "juxta civitatem sita est" (...è sita fuori della città...). Sarebbe perciò non sull'Astagno, che è la collina di fronte, ma sul Cardeto o su quello oggi detto dei cappuccini; quest'ultimo sarebbe poi da scartarsi in quanto ivi esisteva una chiesa dedicata a San Cataldo, segno della presenza li una comunità sicula, atteso il culto che questo Santo riscuote nell'isola, e che darà, attorno alla metà del trecento, il nome alla Fortezza papale eretta dal cardinale Egidio Albornoz[15]. Ma vi è anche un'altra eventualità da tener presente. Le frane hanno profondamente modificato la linea di costa, ed anche recentemente si è dovuto abbandonare il faro eretto nel 1859. Se la basilica fosse stata eretta in un luogo non lontano dalla linea di costa potrebbe essere sparita in occasione di una frana. A supporre questa eventualità, la vicenda di una chiesa, elencata tra quelle che versano le decime nel 1290, S. Maria in Porta Superiana: come S. Maria in Porta Cipriana - poi S. Anna - era vicina ad una porta della città, anche questa doveva esserlo ed il nome della porta Superiana, la dice collocata in alto, anzi nel punto più alto. Questa chiesa, dopo la sua presenza nel registro delle decime, non figura più tra quelle del secolo XIV e seguenti, sicuramente scivolata in mare in uno dei movimenti che interessarono là linea di costa. Con S. Maria in Porta Superiana, sparì forse anche S. Stefano Insigne.»

Venne distrutta dopo l'assedio di Federico Barbarossa nel 1174.[16]

Il religioso Giuseppe Cappelletti nel suo “Le Chiese d'Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri – opera di Giuseppe Cappelletti Prete veneziano” conferma la versione storica secondo la quale la cattedrale di Santo Stefano non fu distrutta né dai Saraceni né dagli Ostrogoti[17].

Egli aggiunge anche che durante l'assedio dei saraceni le spoglie dei santi protettori furono miracolosamente preservate e collocate nella seconda cattedrale di San Lorenzo, sulla cima del Guasco. Rimase però la Cattedrale di Santo Stefano come cattedrale cittadina[18].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Carisio Ciavarini, Sommario della storia d'Ancona raccontata al popolo anconitano, Ancona, 1867, p. 43. «Il culto alle divinità idolatriche, di cui già tenemmo discorso, venne via via scemando secondo che si accresceva la religione cristiana. La quale, pel fervore di un culto nuovo e per la voce di santità a che la fecero salire i difenditori del Vangelo, seppe in generale talmente scaldare gli animi dei popoli, e distorli dalle decrepite pagane credenze, da acquistar seguaci e templi numerosissimi: e dopo il terzo secolo, statue ed immagini in tanta copia da superare quelle dei gentili. Narrasi che il cristianesimo fosse introdotto in Ancona, ed insieme in Italia, da un marinaio qui capitato dall'Asia e custode di una pietra raccolta nella lapidazione del primo martire Stefano: che nel nome di lui fosse perciò intitolato il primo oratorio o chiesa: che questa sorgesse sul colle, il quale dal santo prese e ritenne il nome».
  2. ^ Sancti Augustini Hipponensis Episcopi, Operum VIII, Venetiis, 1763, pag.1277 e segg.; il discorso fu pronunciato, il martedì di Pasqua dell'anno 425 (21 aprile?)
  3. ^ Chiesa oggi non più esistente.
  4. ^ Il sasso è ora racchiuso in un reliquiario quattrocentesco.
  5. ^ Il suddetto reliquiario è conservato nella Cripta dei Protettori della Cattedrale di S. Ciriaco di Ancona (a sinistra rispetto all'ingresso principale), così detta perché contiene le spoglie dei santi patroni della città.
  6. ^ G. Stefani, Dizionario corografico dello stato pontificio.
  7. ^ Lazzaro Bernabei (Ancona, tra gli anni 1430 e 1440 – 1497), discendente da una famiglia di origine cipriota, fu insegnante, letterato e storico della città, autore delle Chroniche anconitane trascripte et insieme reducte per me, Lazzaro de' Bernabei anconitano, 1492, riprodotte in Carisio Ciavarini, Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle Città e Terre marchigiane, Ancona, 1870.
  8. ^ Consistono in resti di un sacello funerario decorato da un pavimento musivo che dispiega il disegno di una vite con parte di citazione biblica (Libro di Isaia 5, 1) appartenente alla zona absidale. Vi era anche una colonnina con l'epigrafe che ricordava il proprietario, Flavio Eventio. Sono fatti risalire al secolo IV. Cfr. Bollettino Archeologia Cristiana, 1879, p.128 segg. Il mosaico, molto maltrattato, è ancora in loco, la colonnina dispersa: l'accesso è dal negozio che fa angolo tra corso Garibaldi e via Marsala, e sembra fosse appartenuto al complesso paleocristiano ritrovato nelle opere per la fondazione del nuovo palazzo in via Menicucci.
  9. ^ Cfr. Gregori Magni, Dialogi, Roma, 1924, I, 5, pag. 30 e segg.
  10. ^ Cfr. P. M. Raffaelli, Memorie ecclesiastiche intorno all’istoria ed il culto di s. Esuperanzio, Pesaro, 1762, appendice diplomatica, pag. 67.
  11. ^ Cfr. P. Sella, Rationes Decimarum Italiae Marchia, Città del Vaticano, 1950: n. 3391, p. 286; n. 3611, p. 310. La chiesa era retta dal presbitero Leone coadiuvato dal chierico Jacobutio.
  12. ^ Cfr. Carisio Ciavarini, Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle Città e Terre marchigiane, Ancona, 1870, pag. 148 e segg.
  13. ^ Storico bizantino, nato a Cesarea marittima in Palestina (città romana di origine fenicia, il cui territorio si trova attualmente in Israele) nel 490 circa, morto a Costantinopoli nel 565 circa.
  14. ^ Cfr. Procopio da Cesarea, La Guerra Gotica, II vol., 13.
  15. ^ Cfr. Carisio Ciavarini, Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle Città e Terre marchigiane, Ancona, 1870, pag. 16 e segg.
  16. ^ Antonio Leoni, Ancona illustrata – Opera dell'abbate Antonio Leoni anconitano colle risposte ai sigg. Peruzzi, Pighetti, etc. e il compedio delle memorie storiche d'Ancona Capitale della Marca Anconitana, 1810.«Dopo l'assedio di Barbarossa (la Basilica paoleocristiana di S. Lorenzo) divenne chiesa cattedrale: ed allora il religiosissimo nostro Senato impegnossi a renderlo maestoso tempio; fabbricandolo di pietre sia nell'esterno che nell'interno. Dopo la guerra e gli assedii la nostra repubblica non era molto ricca, e perciò a supplire a tanta spesa il sommo pontefice Alessandro III nel 1177 concedé molte indulgenze a chi dava l'elemosina per la fabbrica: e Gregorio IX concedé a chi visitava l'altare di S. Ciriaco, e dava mano adiutrice per la fabbrica del detto tempio, le stesse indulgenze, che Alessandro III, ed altri sommi pontefici avevano concedute alla chiesa di S. Marco di Venezia»
  17. ^ Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri - vol. VII, Venezia, G. Antonelli, 1847, p. 31.
  18. ^ Giuseppe Cappelletti, Le Chiese d'Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri - vol. VII, Venezia, G. Antonelli, 1847, p. 32.