Casa della Gioventù Italiana del Littorio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Casa della Gioventù Italiana del Littorio
Veduta del complesso durante la costruzione
Altri nomiCasa del Balilla
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
CittàFirenze
CircoscrizioneQuartiere 2
QuartierePiagentina
Codice postale50122
Informazioni generali
Tipoedificio
IntitolazioneGioventù Italiana del Littorio
Costruzione19361938
Demolizione1977
Mappa
Map
Coordinate: 43°46′09.05″N 11°16′14.49″E / 43.769181°N 11.270692°E43.769181; 11.270692

La Casa della Gioventù Italiana del Littorio di Firenze era un vasto complesso, oggi non più esistente, costruito a partire dal 1936 su progetto dell'architetto Aurelio Cetica e dell'ingegnere Fiorenzo De Reggi. Al suo posto è stato costruito l'Archivio di Stato di Firenze.

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

L'edificio aveva una forte identità stilistica che conciliava monumentalismo e attenzione al linguaggio moderno, tipica degli anni trenta in Italia e costituiva un documento importante di un'epoca, tanto che la sua demolizione è deprecata da vari storici.[1]

Fu inaugurato nel 1938, e subito conosciuto anche come "Casa del Balilla"; le sue dimensioni erano imponenti; al suo interno si trovavano numerose strutture sportive coperte, le più moderne esistenti all'epoca a Firenze, comprese piscina e palestra. Questo tipo di edifici del resto manifestava l'attenzione e le risorse che il fascismo dedicava alle giovani generazioni e all'attività sportiva mediante l'organizzazione della Gioventù Italiana del Littorio, fondata, proprio nel 1937, allo scopo di accrescere l'adesione dei ragazzi italiani delle varie età, ai principi dell'ideologia del regime, inglobando la preesistente Opera Nazionale Balilla[2].

Il monumentale edificio assunse fama sinistra tra i giovani fiorentini in quanto era utilizzato per trattenervi la domenica in punizione-reclusione coloro che avevano disertato senza giustificato motivo le attività ginnico-militari del sabato fascista.[senza fonte]

Il complesso si trovava sui viali presso piazza Beccaria ed occupava un'area che il Piano Poggi aveva previsto di lasciare vuota per aprire la visuale da piazza Beccaria verso la collina di San Miniato al Monte ("pratoni della Zecca")[3]. L'area triangolare fu occupata da questo grande edificio con cortile interno. La forma a triangolo isoscele aveva gli angoli smussati con una soluzione architettonica che poteva richiamare l'opera di Erich Mendelsohn. I due lati lunghi ospitavano uno le organizzazioni maschili, l'altro quelle femminili; su piazza Beccaria era posto l'ingresso monumentale.

Di fronte, in viale Giovine Italia, si trovava precedentemente l'edificio in stile moresco del cinema teatro Alhambra, progettato e costruito sin dal 1919 dall'architetto Adolfo Coppedè.[4] All'inizio degli anni sessanta, in una progressiva revisione dell'intera area, questa prima struttura fu abbattuta per costruire - ed inaugurare nel 1966 - l'edificio prefabbricato che - fino a fine 2014[5] - sarà la sede del quotidiano La Nazione.

Simile fu il destino della Casa della GIL; dopo la guerra se ne continuò ad utilizzare alcune strutture, sia come spazi sportivi (piscina) che per spettacoli (cinema "Cristallo"), anche se in uno stato di progressiva incuria.[senza fonte] Alla fine nel 1975 la decisione di raderlo al suolo fu presa dalla prima giunta comunale di sinistra. L'edificio è stato in effetti demolito nel 1977 per far posto ad un'architettura molto discussa[6], la nuova sede dell'Archivio di Stato. Si salvarono solo alcuni affreschi di Calastrini e Gemignani. Quello di Savelli andò perduto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L. Vinca Masini, G. Cruciani Fabozzi, Firenze, 1981.
  2. ^ Carlo Cresti, Architettura e fascismo, 1986.
  3. ^ A. Marcolin, Firenze in camicia nera, 1993.
  4. ^ COPPEDÈ, Adolfo in Dizionario Biografico – Treccani
  5. ^ Firenze, La Nazione: ceduta la sede di Viale Giovine Italia progettata dall'architetto Spadolini
  6. ^ S. Poli, Paolucci rimpiange la "Casa del Balilla", in "La Repubblica", 2 febbraio 2001.