Bene vixit qui bene latuit

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Busto di Epicuro (Museo Barracco, Roma).

Bene vixit qui bene latuit: la frase, derivata dal verso di Ovidio «bene qui latuit bene vixit»[1], tradotta letteralmente significa ha vissuto bene chi ha saputo stare ben nascosto. Evidente l'affinità con il consiglio epicureo λάθε βιώσας láthe biôsas, "vivi nascostamente" per non farti cogliere dai colpi del fato o dalla malvagità degli uomini.

Era il motto adottato dal filosofo e matematico Cartesio[2] e da François de La Mothe Le Vayer.[3]

Appare strana questa affermazione epicurea del vivere appartato se si considera che nella Grecia classica i cittadini discutevano di politica nelle piazze e si ritrovavano a far vita in comune nelle palestre e Socrate dialogava con chiunque nelle strade e per rispetto delle leggi della città aveva accettato una morte ingiusta. Per il greco la vita fuori della polis era impossibile mentre ora Epicuro, lontano dalla politica, insegna nel suo appartato giardino. Sono infatti passati 60 anni dalla morte di Socrate e i cittadini greci sono diventati sudditi della Macedonia e hanno perso l'elemento fondante della vita politica: la libertà. Per Epicuro ormai l'uomo non si identifica più con il cittadino anche se riconosce l'utilità di una società ordinata dalle leggi, che vanno rispettate poiché calpestandole non si può avere la certezza dell'impunità e quindi rimarrebbe il timore di un castigo che turberebbe per sempre la conquista della serenità ottenuta sostituendo i rapporti politici di pubblica solidarietà sociale con quelli privati basati sull'amicizia.

«Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è l'acquisto dell'amicizia.[4]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ovidio, Tristia, III, 4, 25
  2. ^ Lettera XLV a Marin Mersenne, Deventer, fine febbraio 1634, in: René Descartes, Isaac Beeckman, Marin Mersenne, Lettere 1619-1648, a cura di Giulia Beigioioso e Jean-Robert Armogathe, Milano, Bompiani 2015, p. 422.
  3. ^ Dialogues faits à l’imitation des anciens, III. De la vie privée, a cura di André Pessel, Paris, Fayard, 1988.
  4. ^ Epicuro, Massime Capitali. 27

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]