Al-Farazdaq

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Al-Farazdaq, in arabo الفرزدق?, traducibile con "Il pezzo di pagnotta", soprannome di Tammām ibn Ghālib (in arabo ﺗمام بن غالب?), la cui kunya era Abū Firās (in arabo ابو فراس?) (Najd, 641Bassora, 728), è stato un poeta arabo, panegirista e autore satirico.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Beduino appartenente al clan dei Dārim trasferitosi dalla originaria Arabia orientale ai territori iracheni, si rivelò un importante e prezioso testimone del primo secolo dell'Egira.[1]

È stato un rappresentante dei cosiddetti mukhāḍramūn, che agirono nel periodo di transizione tra la cultura beduina della Jāhiliyya e la società musulmana che si stava formando.[2]

Già noto come poeta all'età di quindici anni, a causa sia delle sue tendenze libertine e antireligiose sia per le sue frecciate argute che punzecchiarono vari califfi del ramo omayyade dei Marwanidi, fu protagonista di molte vicissitudini, sia in patria sia a Medina.[1]

Nel 669 fu costretto a scappare da Bassora, a causa delle minacce del Walī di Kufa Ziyad ibn Abihi, e trovò rifugio presso Medina, dove, accolto favorevolmente dall'Emiro Saʿīd ibn al-ʿĀṣ, rimase dieci anni descrivendo la vita delle tribù beduine dei Banū Nahshal e dei Banū Fuqaym.[2] Però a causa di alcuni suoi versi di contenuto amoroso venne cacciato dal califfo Marwān I e quindi rientrò a Bassora grazie ai favori del successore di Ziyād, suo figlio ʿUbayd Allāh.[2]

In tutta la sua vita alternò momenti di disgrazia a quelli di successo e di stima, e queste sue vicende personali si intrecciarono con le lotte politiche intraprese dalla varie correnti attive nel primo secolo dell'Egira.[1]

Grazie alla sua satira sociale e politica, le sue opere assursero, attraverso i secoli, al ruolo di importanti testimonianze, fisse nel tempo, di una società in rapida evoluzione.[1]

L'opera che ha reso immortale la poesia di al-Farazdaq fu il monumentale Dīwān ("Canzoniere"), costituito da circa ottocento composizioni. L'opera può essere considerata la più vasta della letteratura araba, ed è costituita da lamenti, poemi satirici e lodi.[2]

Per quanto riguarda i contenuti e lo stile, l'autore riadattò la tradizionale poesia beduina, la qasīda, alle esigenze mutanti della realtà a lui contemporanea, aggiungendovi l'elemento epigrammatico, talvolta non privo di tematiche oscene e sensuali.[1]

Una delle caratteristiche più rilevanti dell'autore furono la sua ricchezza linguistica e lessicale, oltre che la bellezza dell'intonazione, del ritmo, della durata (isocronia), dell'accento, degli effetti e degli accostamenti rari del linguaggio.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e le muse, IV, Novara, De Agostini, 1964, p. 454.
  2. ^ a b c d al-Farazdaq nell’Enciclopedia Britannica, su britannica.com. URL consultato il 28 febbraio 2015.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Sharḥ Dīwān al-Farazdaq, commento del Canzoniere di al-Farazdaq, Cairo, 1936
  • (FR) R. Boucher, Divan de Férazdak..., Parigi, 19.
  • (RU) Kh. al’-Fakhuri, Istoriia arabskoi literatury, Mosca, 1959.
  • (RU) I. M. Fil’shtinskii, Arabskaia klassicheskaia literatura, Mosca, 1965.
  • (FR) R. Blachère, Histoire de la littérature arabe, Parigi, 1966.
  • (ES) Josefina Veglison Elías de Molins, La poesía árabe clásica, Madrid, Hiperión, 1997.

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Controllo di autoritàVIAF (EN90047483 · ISNI (EN0000 0000 7149 7510 · CERL cnp01369759 · LCCN (ENn82237972 · GND (DE118907662 · BNF (FRcb13562407p (data) · J9U (ENHE987007273832605171 · WorldCat Identities (ENlccn-n82237972