Ahlat

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Ahlat
comune
Localizzazione
StatoBandiera della Turchia Turchia
RegioneAnatolia Orientale
ProvinciaBitlis
DistrettoBitlis
Territorio
Coordinate38°45′14.96″N 42°29′15.85″E / 38.754156°N 42.487735°E38.754156; 42.487735 (Ahlat)
Altitudine1 650 m s.l.m.
Superficie989 km²
Abitanti40 806 (2018)
Densità41,26 ab./km²
Altre informazioni
Cod. postale13400
Fuso orarioUTC+2
Targa13
Cartografia
Mappa di localizzazione: Turchia
Ahlat
Ahlat
Sito istituzionale

Ahlat (in armeno Ախլաթ?, Akhlat; in curdo Xelat‎) è una città della Turchia, nella provincia di Bitlis, ai margini del lago di Van sulla costa di nord-ovest. Faceva parte della provincia di Van fra il 1919 e il 1936.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La regione del lago di Van faceva parte del regno di Urartu fino al VI secolo a.C. In seguito gli Sciti e i Parti e infine i Sasanidi occuparono la regione, integrata al regno d'Armenia.

Verso il 640, durante il regno del califfo ʿUmar b. al-Khaṭṭāb, la città fu conquistata dagli Arabi musulmani, che la chiamarono Akhlāṭ[1], Khelāṭ o Khilāṭ[2].

Nel 918 la città è attaccata dall'imperatore bizantino Giovanni I Zimisce. Nel 939, l'hamdanide ʿAlī Sayf al-Dawla penetra nella città nel corso delle sue contese militari con l'Impero bizantino.

A partire dal 983, la regione è dominata dalla dinastia curda dei Marwanidi dell'Alta Mesopotamia[3]. La città è in seguito conquistata dal sultano selgiuchide Alp Arslan. È da qui che Alp Arslan parte per affrontare l'esercito bizantino di Romano IV Diogene. Questo esercito è distrutto dal sultano in occasione della battaglia di Manzikert (attualmente Malazgirt), a nord del lago di Van, il 19 agosto 1071.

Nel 1100, il governo di Akhlāṭ è affidato all'emiro Sökmen al-Kutbî,[4] ai suoi discendenti e ai suoi successori, chiamati Shah Arman o Aḫlāt Shāh (in turco Ermenşahlar o Ahlatşahlar). Nel 1185, il quarto sovrano a portare il titolo di Shāh Arman muore senza eredi. La città cade allora nelle mani di una serie di comandanti d'origine servile. Gli Ayyubidi di Diyarbakir che bramavano da tempo la città, ne approfittano per impadronirsene nel 1207[5]. Gli Ayyubidi di Akhlāṭ cadono sotto la dominazione mongola degli Ilkhanidi nel 1259 e restano al potere, ma sotto l'autorità mongola, fino alla fine del XV secolo.[6]

La regione è in seguito occupata dagli Ak Koyunlu[7]. Gli Ak Koyunlu non amministrano in prima persona Akhlāṭ e ne lasciano la cura ai principi di Bitlis. Una parte importante della popolazione emigra verso Biltis, meglio difesa.[8] Nel 1548, essa subisce un'incursione dei Safavidi[7]. La città passa infine sotto il controllo dell'Impero ottomano nel XVI secolo.

Monumenti[modifica | modifica wikitesto]

Ahlat Kalesi[modifica | modifica wikitesto]

L'antica fortezza di Akhlat è composta da una piccola rocca interna circondata da mura con torri, attorno alle quali è disposta la cittadella, in parte ancora abitata, che dà direttamente sul lago.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Akhlāṭ (in arabo أخلاط ?, Akhlāṭ, talvolta trascritta Ahlāṭ in arabo أهلاط?
  2. ^ Khilāṭ, in arabo خلاط?, "Khilāṭ").
  3. ^ Janine e Dominique Sourdel, Dictionnaire historique de l'islam, Parigi, PUF, coll. Quadrige, 2004, ISBN 978-2-13-054536-1 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2011).
    «"Ahlat, en arabe Akhlât ou Khilât"»
  4. ^ Sökmen al-Kutbī non deve essere confuso con il suo omonimo e quasi contemporaneo l'Artuchide Soqman ibn Artuq, morto nel 1105.
  5. ^ Clifford Edmund Bosworth, The New Islamic Dynasties: A Chronological and Genealogical Manual, Edinburgh University Press, 2004. ISBN 978-0-7486-2137-8. online=[1] e cap. "The Shah-i Armanids"
  6. ^ Clifford Edmund Bosworth, op. cit.. online=Cap. "The Ayyubids", pp. 72-73
  7. ^ a b Janine e Dominique Sourdel, op. cit..
  8. ^ Colin Imber, Keiko Kiyotaki, Rhoads Murphey, Frontiers of Ottoman Studies: State, Province, and the West, Londra, I.B. Tauris, 2005. ISBN 978-1-85043-631-7 online=[2] e Cap. "The Late Middle Ages", pp. 111-112.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (FR) Janine et Dominique Sourdel, Dictionnaire historique de l'islam, Parigi, PUF, coll. Quadrige, 2004, 1056 pp.
  • (FR) Ephrem-Isa Yousif, Les chroniqueurs syriaques, Parigi, L'Harmattan, 2002, 467 pp. ISBN 978-2-7475-2709-5 online..
  • (FR) Colin Imber, Keiko Kiyotaki, Rhoads Murphey, Frontiers of Ottoman Studies: State, Province, and the West, Londra, I.B. Tauris, 2005, 304 pp. ISBN 978-1-85043-631-7 online..
  • (EN) Clifford Edmund Bosworth, The New Islamic Dynasties: A Chronological and Genealogical Manual, Edinburgh University Press, 2004, 400 pp. ISBN 978-0-7486-2137-8 online..

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