Abbazia di Santa Maria di Novara

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Abbazia di Santa Maria di Novara
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
LocalitàNovara di Sicilia
Coordinate38°00′51″N 15°07′53″E / 38.014167°N 15.131389°E38.014167; 15.131389
Religionecattolica
DiocesiMessina
Consacrazione1137
Demolizione1784

L'abbazia di Santa Maria di Novara (anche detta Santa Maria di Nucaria, Santa Maria di Nuara, Santa Maria di Vallebona) era un'abbazia cistercense situata a Novara di Sicilia, comune italiano della città metropolitana di Messina.[1][2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Epoca normanna[modifica | modifica wikitesto]

Secondo alcuni storici Santa Maria di Novara (o di Vallebona) fu fondata nel 1137, per iniziativa dello stesso Ruggero II che incaricò dei monaci basiliani,[3][4] comunità religiosa di rito greco già attestata nel territorio. In seguito lo stesso sovrano disporrà l'insediamento di religiosi dell'Ordine cistercense, quindi di rito latino per contrastare la secolarizzazione dei costumi, conferendo l'incarico a Bernardo di Chiaravalle.[5]

La comunità cistercense è attestata sui pendii delle Rocche in contrada Sant'Anna col titolo di "Santa Maria dell'Annunciazione". Del primitivo insediamento sono pervenuti solo dei ruderi. Un luogo meno impervio, ai margini di un corso d'acqua è individuato più a valle, oggi denominato Badiavecchia di Vallebona.

Bernardo invio l'abate Ugo di Citeaux a capo di religiosi provenienti dalla vicina Calabria.[5] Nel 1172 il monastero entrò sotto la giurisdizione dell'Ordine cistercense come filiazione dell'abbazia di Santa Maria della Sambucina, situata in Calabria nel comune di Luzzi.

Epoca borbonica[modifica | modifica wikitesto]

Per allentamento e decadimento della disciplina monastica, per la vetustà delle strutture, per abusi commessi da parte dei monaci, l'importanza dell'istituzione cominciò a vacillare fino a tramontare del tutto, circostanze che indussero ad edificare una nuova sede su un'altura in prossimità del centro cittadino.[6]

Nel 1659 i religiosi si trasferirono nelle strutture cittadine di Novara, l'Abbazia di Sant'Ugo.[6]

Il monastero di Badia Vecchia distrutto da un'alluvione, nuovamente restaurato, fu abitato fino 1731 per essere definitivamente abbandonato e destinato come semplice chiesetta per le necessità spirituali del piccolo borgo.[6]

Abbazia di Sant'Ugo[modifica | modifica wikitesto]

In città molti monaci si abbandonarono alle comodità e agli agi della vita del popoloso centro, tantissimi di loro abusarono delle tante dovizie che possedevano al punto tale che la popolazione ne reclamò l'abolizione e l'espulsione dell'istituzione nel 1783.[6]

Nel 1784 la comunità religiosa dell'abbazia cittadina si trasferì a Messina nel borgo di Tremestieri in contrada Roccamadore, probabilmente a causa della soppressione del monastero voluta dai Borboni. L'abbazia andò presto in rovina.

Lo Stato incamerò le grosse rendite, la chiesa divenne di patronato regio e furono istituiti un cappellano e un vicecappellano.

  • Reliquiario.

Epoca contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

  • 2019 - 2020, Le strutture sono oggetto di campagne di restauro.

Filiazioni[modifica | modifica wikitesto]

Nella linea dell'abbazia francese di Clairvaux e nel rispetto delle direttive previste dalla Charta Caritatis, alla casa madre di Santa Maria di Vallebona di Novara, comprendenti le chiese suffraganee, i monasteri, le grangie, le dipendenze e pertinenze, corrispondono le filiazioni:

Abati[modifica | modifica wikitesto]

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Pagina 564, Capitolo VIII Tommaso Fazello, "Della storia di Sicilia, Deche due del r.p.m. Tommaso Fazello siciliano ...", Volume 6 [1]
  2. ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia Nobile, Palermo, Stamperia dei Santi Apostoli, 1754, p. 52 (archiviato dall'url originale il 12 febbraio 2018).
  3. ^ Pagina 111, Di Francesco Maria Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Carlo Crispo Moncada, Antonino Mango di Casalgerardo, "Della Sicilia nobile", Volume 1 [2]
  4. ^ Pagina 179 - 180, Giuseppe Pitrè, "Feste patronali in Sicilia" [3], Volume unico, Torino - Palermo, Carlo Clausen, 1900.
  5. ^ a b Gaetano Borghese, pp. 70.
  6. ^ a b c d Gaetano Borghese, pp. 71.
  7. ^ Pagina 444, Carlo Tivaroni, "Storia critica del risorgimento italiano" [4], Volume 1, 1888.
  8. ^ Pagina 245, Caio Domenico Gallo, "Annali Della Città Di Messina - Capitale del Regno di Sicilia - Dal giorno di sua fondazione sino ai tempi presenti" [5], Tomo 1, Messina, 1756.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]