İbrahim Kaypakkaya

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«... il nostro dirigente e guida, Ibrahim Kaypakkaya, ci ha insegnato a gettarci con tutto quel che abbiamo nel mare della lotta di classe.»

İbrahim Kaypakkaya

Segretario del Partito Comunista della Turchia/Marxista-Leninista
Durata mandato1972 –
18 maggio 1973
PredecessoreCarica istituita
SuccessoreSüleyman Cihan

Dati generali
Partito politicoPartito Comunista della Turchia/Marxista-Leninista e Partito dei Lavoratori della Turchia

İbrahim Kaypakkaya, noto anche con lo pseudonimo di İbo (Karakaya, 1948[1]Diyarbakır, 18 maggio 1973), è stato un politico e rivoluzionario turco, primo segretario e fondatore del Partito Comunista della Turchia/Marxista-Leninista.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Kaypakkaya nacque nel 1948 a Karakaya, villaggio nella provincia turca di Çorum. Figlio di Ali e Mediha Kaypakkaya, frequentò le scuole elementari nella vicina Hüyük e poi, a partire dall'anno scolastico 1960/61, la Scuola per insegnanti Hasanoğlan (Hasanoğlan Öğretmen Okulu). Nel 1965 Kaypakkaya si spostò poi a Istanbul, per frequentare la Çapa Yüksek Öğretmen Okulu.[2]

Da studente, Kaypakkaya entrò in contatto con gli ambienti della sinistra giovanile e divenne uno dei volti più in vista del movimento. Nel novembre 1967, fu tra i fondatore della sezione del suo istituto del Club delle Idee (Fikir Kulübü), un'associazione studentesca di stampo socialista. Fu sospeso da scuola per un mese nel gennaio del 1968, e definitivamente espulso nell'ottobre dello stesso anno, per avere pubblicato un volantino nel quale si condannava la presenza della Sesta flotta statunitense ad Istanbul.[3] Per la sinistra studentesca, le frequenti visite delle navi da guerra americane furono l'occasione per organizzare in quegli anni grandi manifestazioni in chiave anti-imperialista, spesso represse con la violenza, e chiedere che la Turchia optasse per una posizione più indipendente dall'Occidente nello scenario internazionale.[4]

Tra il 1968 e il 1969 la sinistra turca, fino a quel punto relativamente unita, si spaccò tra la corrente principale del Partito dei lavoratori (Türkiye İşçi Partisi, TİP) e Millî Demokratik Devrim (Rivoluzione nazionale democratica), che sosteneva la necessità di una rivoluzione in due fasi per la Turchia. MDD faceva capo al marxista Mihri Belli, già membro del Partito Comunista locale, e ottenne un crescente seguito tra gli studenti universitari, tra i quali anche Kaypakkaya.[5]

Kaypakkaya scrisse in questo periodo per una serie di riviste di sinistra, tra le quali İşçi-Köylü (Lavoratore-Contadino) e Türk Solu (Sinistra turca). Pubblicò anche per Aydınlık, periodico che prendeva il nome da quello fondato negli anni Venti dal gruppo del Partito Comunista di Turchia che faceva capo a Şefik Hüsnü (Deymer). Kaypakkaya rimase legato al gruppo di Aydınlık fino al gennaio 1970, quando dinamiche interne portarono a una scissione dei militanti. La fazione che faceva capo a Doğu Perinçek, di cui Kaypakkaya faceva parte, fu allontanata dopo una serie di dispute di natura prevalentemente ideologica. Il gruppo fondò una nuova rivista, Proleter Devrimci Aydınlık (PDA), nota tra i militanti della sinistra turca anche come Beyaz Aydınlık (l'Aydınlık bianco), per distinguerla dal primo Aydınlık, l'Aydınlık "rosso" (Kırmızı Aydınlık). In linea con le convinzioni politiche del gruppo, PDA promuoveva una linea maoista chiara fin dai colori della copertina, che riprendevano quelli della Peking Review, pubblicata dal governo cinese.[6] Oltre a lanciare PDA, il gruppo fondò un partito politico illegale, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e dei Contadini (Türkiye İhtilalci İşçi Köylü Partisi, TİİKP).

La fondazione del TKP/ML[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Partito Comunista della Turchia/Marxista-Leninista.

Verso la fine del 1971, anno del colpo di stato in Turchia, Kaypakkaya si allontanò definitivamente anche dall'esperienza di Proleter Devrimci Aydınlık, accusando il gruppo di Perinçek di opportunismo e revisionismo e di preferire un'alleanza con le forze borghesi ed elementi di sinistra dell'esercito a una rivoluzione condotta dal proletariato.[7] Il 24 aprile 1972 fondò il Partito Comunista della Turchia/Marxista-Leninista (Türkiye Komünist Partisi/Marksist-Leninist, TKP/ML) e il suo braccio armato, l'Esercito di Liberazione dei Lavoratori e dei Contadini (Türkiye İşci ve Köylü Kurtuluş Ordusu, TIKKO), con l'intenzione di lanciare una guerra di guerriglia nella Turchia orientale.[8]

Tra il 1972 e il 1973, il TKP/ML si rese responsabile di una serie di attacchi contro forze dell'ordine, militari e istituzioni. Il 18 maggio 1972 fu ucciso Mustafa Mordeniz, capo del villaggio di Kahyalı, nella provincia di Malatya. Mordeniz era accusato dai militanti di avere riferito sul luogo dove si nascondevano alcuni membri dell'Esercito di Liberazione del Popolo della Turchia (Türkiye Halk Kurtuluş Ordusu, THKO), altra organizzazione armata emersa dagli ambienti della sinistra universitaria.[9]

Il 24 gennaio 1973, Kaypakkaya e i suoi compagni vennero rintracciati dalle forze dell'ordine nel villaggio di Vartinik, nella provincia di Tunceli e circondati. Uno dei membri del TIKKO, Ali Haydar Yıldız, venne ucciso in uno scontro a fuoco. Kaypakkaya fu arrestato tre giorni dopo. Incarcerato e sottoposto a protratte torture, morì il 18 maggio 1973 nella prigione di Diyarbakır.[10] Il suo corpo, fatto a pezzi, venne restituito al padre perché potesse essere sepolto.[senza fonte] Il TKP/ML si riorganizzò dopo la morte di Kaypakkaya e tenne il suo primo congresso nel 1978.

Dopo la morte[modifica | modifica wikitesto]

La figura di Kaypakkaya assunse negli anni un rilievo particolare per la sinistra turca, accanto a quella di altri militanti che morirono o furono uccisi soprattutto dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. La data della morte di Kaypakkaya, il 18 maggio, divenne in questo senso simbolica. Ogni anno, scrive Karacan, commemorazioni di Kaypakkaya si tengono in molte città tedesche, dove diversi militanti si spostarono dopo la stretta contro la sinistra turca che fece seguito al colpo di stato del 1980.[10] Nei circoli di sinistra della minoranza alevita, aggiunge Yenen, non è inusuale trovare fianco fianco simboli religiosi e immagini di icone della sinistra internazionale e turca come Che Guevara, Deniz Gezmiş e İbrahim Kaypakkaya.[11]

Se per la sinistra turca è un'icona e considerato alla stregua di un martire, la memoria di Kaypakkaya è tuttavia contestata. Per lo stato turco, il leader del TKP/ML fu non uno dei nomi più in vista di un movimento rivoluzionario, ma piuttosto il leader di un'organizzazione terroristica con idee separatiste. Ancora in anni recenti, molti sono stati i casi aperti in merito. Nel 2008 una causa fu intentata contro la rivista di sinistra Atılım, per avere pubblicato un articolo in cui si elogiavano i leader del movimento studesco e poi dei gruppi armati della sinistra turca dei primi anni Settanta.[12] Nel 2012, Şukran Kaypakkaya fu sentita dalle autorità con l'accusa di apologia del terrorismo, dopo avere fatto visita alla tomba del figlio adottivo.[13] Nel 2019, un fascicolo fu aperto contro il fratello di Kaypakkaya, Ali Ekber, per avere pubblicato i suoi ricordi dell'epoca in un articolo per il quotidiano Gazete Duvar.[14]

Il pensiero di Kaypakkaya[modifica | modifica wikitesto]

Quando scoppiò la crisi sino-sovietica, Kaypakkaya criticò il partito comunista locale filo-sovietico e premette per fondare un partito che seguisse gli insegnamenti di Mao Tse-tung e difendesse la memoria e il pensiero di Stalin contro gli attacchi del revisionismo moderno.

Se la tendenza della sinistra turca già dall'inizio degli anni Sessanta era quella di leggere il pensiero e l'operato di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della moderna Turchia, in chiave progressista e rivoluzionaria, Kaypakkaya si espresse in senso contrario.[15] Secondo Bozarslan, fu infatti "la principale figura della sinistra del tempo a rifiutare il kemalismo come un regime, un'ideologia e un'esperienza 'fascista'".[16] Nel kemalismo Kaypakkaya lesse un'esperienza che già dalla guerra d'indipendenza era scesa a patti con elementi definiti "contro-rivoluzionari", identificati nella borghesia e nei feudatari turchi. In polemica con i membri del TİİKP, scrisse per esempio nel 1971:

(TR)

«Mustafa Kemal’in "tam bağımsızlık ilkesi" pratikte (1938’e kadarki iktidar döneminde) görüldüğü gibi, emperyalizme teslimiyet, yarı sömürgeciliği seve seve kabullenmesidir. Mustafa Kemal’in Sun Yat-Sen ile kıyaslanması doğru değildir. Olsa olsa Çan Kay-Şek’le kıyaslanabilir.»

(IT)

«Il "principio di indipendenza totale" di Mustafa Kemal, come si è visto in pratica (fino al 1938), è una resa all'imperialismo e un'accettazione volontaria di uno stato semi-coloniale. Non è corretto paragonare Mustafa Kemal a Sun Yat-sen. Al massimo si potrebbe paragonarlo a Chiang Kai-shek

Come già altri militanti e correnti della sinistra dell'epoca, Kaypakkaya ragionò anche sulla questione del popolo curdo. Laddove Mihri Belli negli stessi anni riconosceva l'esistenza di una "questione orientale" in Turchia, ma non necessariamente il diritto all'auto-determinazione, il TİİKP era arrivato a teorizzare il diritto dei curdi all'auto-determinazione e a uno stato, criticando tuttavia il principio che la questione nazionale potesse essere vista separatamente dalla lotta all'imperialismo e al feudalesimo in Turchia.[17] Il TKP/ML compì un passo ulteriore: Kaypakkaya difese infatti il diritto dei curdi a determinare il loro destino a priori, descrivendo anche il Kurdistan come una colonia della Turchia.[16][18]

(TR)

«Bütün Kürdistan’ın birleştirilmesini programımıza koymamız, bir de şu açıdan sakattır: Bu, bizim tayin edeceğimiz bir şey değildir. Kürt milletinin kendisinin tayin edeceği bir şeydir. Biz, Kürt ulusunun kendi kaderini tayin hakkını, yani ayrı bir devlet kurma hakkını savunuruz. Bu hakkı kullanıp kullanmayacağını veya ne yönde kullanacağını Kürt milletinin kendisine bırakırız.»

(IT)

«Inserire nel nostro programma l'unificazione di tutto il Kurdistan sarebbe sbagliato in questo senso: non si tratta di un qualcosa su cui dobbiamo decidere noi, ma su cui il popolo curdo deve decidere. Noi difendiamo il diritto della nazione curda a determinare il proprio destino, ovvero il diritto alla formazione di uno stato separato. L'esercitare o meno questo diritto, o in che modo farlo, lo lasciamo al popolo curdo.»

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • İbrahim Kaypakkaya e Hasan Cançöte (a cura di), Bütün yazılar, Istanbul, Tufan Yayınları, 1976.
  • İbrahim Kaypakkaya, Seçme yazilar, Istanbul, Ocak Yayınları, 1979.
  • İbrahim Kaypakkaya, Türkiye'de milli mesele, luogo ignoto, Halkin Günlüğü, 1995(?).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nonostante Kaypakkaya sia nato nel 1948, la nascita fu registrata l'anno successivo, ragion per cui alcune fonti riportano il 1949 come nata di nascita.
  2. ^ (TR) Turhan Feyizoğlu, İbo: İbrahim Kaypakkaya, Istanbul, Ozan Yayıncılık, 2000, pp. 18-19.
  3. ^ (TR) Sabri Becerikli, İstanbul Yüksek Öğretmen Okulu (1924-1978), Ankara, Astana Yayınları, 2020, p. 153, ISBN 9786257890557.
  4. ^ (EN) Emin Alper, Protest Diffusion and Rising Political Violence in the Turkish ’68 Movement: The Arab-Israeli War, “Paris May” and The Hot Summer of 1968, in Lorenzo Bosi, Chares Demetriou e Stefan Malthaner (a cura di), Dynamics of Political Violence: A Process-Oriented Perspective on Radicalization and the Escalation of Political Conflict, Ashgate Publishing, 2014, p. 257, ISBN 978-1-4094-4352-0, OCLC 866443777. URL consultato il 13 febbraio 2021.
  5. ^ (EN) Igor P. Lipovsky, The socialist movement in Turkey, 1960-1980, Leiden, Brill, 1992, p. 109, ISBN 90-04-09582-9, OCLC 26359133. URL consultato il 13 febbraio 2021.
  6. ^ Ulus, p. 117.
  7. ^ Ulus, pp. 116-117. Vedi, per esempio: (TR) İbrahim Kaypakkaya, Şafak revizyonizmi ile aramızdaki ayrılıkların kökeni ve gelişmesi, in Hasan Cançöte (a cura di), Bütün Yazılar I, Tufan Yayınları, ottobre 1976, p. 238.
  8. ^ Ulus, pp. 117,124.
  9. ^ (TR) Vehbi Ersan, 1970'lerde Türkiye Solu, İletişim Yayınları, 2013, p. 57, ISBN 978-975-05-1241-4, OCLC 874836905. URL consultato il 14 febbraio 2021.
  10. ^ a b (EN) Elifcan Karacan, Remembering the 1980 Turkish Military Coup d'État: Memory, Violence, and Trauma, Springer VS, 2016, p. 95, ISBN 978-3-658-11320-9, OCLC 932170620. URL consultato il 14 febbraio 2021.
  11. ^ (EN) Alp Yenen, Legitimate Means of Dying: Contentious Politics of Martyrdom in the Turkish Civil War (1968–1982), in Behemoth: A Journal on Civilisation, vol. 12, n. 1, 2019, p. 25, DOI:10.6094/BEHEMOTH.2019.12.1.1004. URL consultato il 14 febbraio 2021. Vedi anche: (EN) Paul Benjamin Osterlund, Turkey’s communist honey, in The Outline, 19 aprile 2018.
  12. ^ (TR) Çayan, Kaypakkaya ve Gezmiş'e ‘terörist’ nitelemesi, su BirGün, 4 novembre 2008. URL consultato il 19 febbraio 2021. Per l'articolo originale, si veda (TR) İbo-Mahir-Deniz Zafere kadar izinizdeyiz, in Atılım, 2008.
  13. ^ (TR) ‘Oğlunun mezarına gittin’ soruşturması, su Milliyet, 27 dicembre 2012. URL consultato il 19 febbraio 2021.
  14. ^ (TR) İbrahim Kaypakkaya'yla ilgili anılarını yazan kardeşine "terör örgütü propagandası" davası, su Independent Türkçe, 13 settembre 2019. URL consultato il 19 febbraio 2021. Per l'articolo originale, si veda (TR) Ali Ekber Kaypakkaya, 44 yılın ardından İbrahim, in Gazete Duvar, 22 maggio 2017.
  15. ^ (EN) Berna Pekesen, Atatürk’s unfinished revolution – The Turkish student movement and left-wing Kemalism in the 1960s, in Lutz Berger e Tamer Düzyol (a cura di), Kemalism as a Fixed Variable in the Republic of Turkey: History, Society, Politics, ERGON Verlag, 2020, p. 114, ISBN 978-3-95650-633-8, OCLC 1139764315. URL consultato il 13 febbraio 2021.
  16. ^ a b (EN) Hamit Bozarslan, From Kemalism to the Armed Struggle: Radicalization of the Left in the 1960s, in Berna Pekesen (a cura di), Turkey in Turmoil : Social Change and Political Radicalization during the 1960s, 2020, p. 133, ISBN 978-3-11-065450-9, OCLC 1163878217. URL consultato il 13 febbraio 2021.
  17. ^ (EN) Mesut Yegen, The Turkish Left and the Kurdish Question, in Journal of Balkan and Near Eastern Studies, vol. 18, n. 2, 3 marzo 2016, p. 165, DOI:10.1080/19448953.2016.1141584. URL consultato il 15 febbraio 2021.
  18. ^ (EN) Nazan Üstundağ e intervistata da Güney Yıldız, Authoritarianism and Resistance in Turkey, Springer International Publishing, 2019, p. 157, DOI:10.1007/978-3-319-76705-5_16, ISBN 978-3-319-76704-8. URL consultato il 15 febbraio 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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